IV Domenica di Quaresima
III Domenica di Quaresima
30 marzo 2025
PRIMA LETTURA
La Pasqua ha segnato l'inizio della liberazione ed ora segna la fine del pellegrinaggio nel deserto e l'ingresso nella terra promessa. Dio ha mantenuto le sue promesse, ora tocca al popolo restare fedele all'alleanza. La storia di Israele sarà un alternarsi di infedeltà del popolo e di perdono di Dio.
Dal libro di Giosuè 5,9a.10-12
In quei giorni, il Signore disse a Giosuè: «Oggi ho allontanato da voi l’infamia dell’Egitto».
Gli Israeliti rimasero accampati a Gàlgala e celebrarono la Pasqua al quattordici del mese, alla sera, nelle steppe di Gerico. Il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della terra, àzzimi e frumento abbrustolito in quello stesso giorno. E a partire dal giorno seguente, come ebbero mangiato i prodotti della terra, la manna cessò. Gli Israeliti non ebbero più manna; quell’anno mangiarono i frutti della terra di Canaan.
Meditazione
Il popolo non era in grado di procurarsi il cibo e Dio glielo ha fornito. Ma quando diventa capace di procurarselo, Dio non lo fornisce più. È una parabola del nostro rapporto con Dio. Ci sostiene, affinché diventiamo capaci di camminare da soli. È così anche per la pace tra le nazioni? Non è vero che gli uomini non siano capaci di costruire la pace, molti non la vogliono. Chiediamo al Signore che sostenga tutte le vittime delle guerre e delle violenze e inquieti le coscienze dei guerrafondai di ogni genere.
SECONDA LETTURA
Paolo era stato offeso da alcuni membri della comunità e aveva fatto tutti i passi perché si ravvedessero, offrendo il proprio perdono. Ma nello stesso tempo ricorda loro che il perdono dell'apostolo è un segno del perdono di Dio, che ha offerto a tutta l'umanità la riconciliazione con lui, attraverso la passione di Cristo. L'apostolo li invita ad accogliere il perdono di Dio, attraverso la mediazione della Chiesa.
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 5,17-21
Fratelli, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione.
In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta.
Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio.
Meditazione
Gesù ha realizzato la riconciliazione tra Dio e il mondo. La Chiesa ha ricevuto da Cristo il potere di riconciliare gli uomini con Dio. Noi Chiesa abbiamo il potere della riconciliazione tra gli uomini e tra le nazioni? Sì, se siamo disposti a pagare come Cristo per i peccati dei fratelli e dell’umanità del nostro tempo, offrendo al Padre la nostra vita per il bene dei fratelli. La vita si offre al Padre non a parole, ma amando concretamente i fratelli ogni giorno.
VANGELO
Questa è la terza parte di un'unica parabola sullo stesso tema: i figli che si allontanano e il Padre misericordioso che li cerca, li aspetta e li accoglie nel perdono e fa festa per loro e con loro. È rivolta a quelli che mormorano di Gesù, perché cambino il loro modo di pensare Dio e accolgano il suo nuovo e vero volto, presentato da Gesù.
Dal vangelo secondo Luca 15,1-3.11-32
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

COMMENTO
Questa parabola è fin troppo conosciuta e cara a tutti noi. Concentriamo la nostra attenzione solo alcuni aspetti.
Il figlio giovane, riconosce i doni del padre, ma ritiene di poter vivere senza di lui. La richiesta della sua parte di eredità significa che il padre per lui è come se fosse già morto.
Il padre, non solo non lo punisce, ma lo lascia libero di fare ciò che vuole, anche di fronte a una offesa mortale, che lui, volendo, potrebbe castigare, ma non lo fa.
I doni del padre sono utilizzati per una vita senza salvezza e fallimentare, che a poco a poco prosciuga gli stessi doni e la dignità del giovane.
La degradazione e la fame fanno nascere la nostalgia dell’aria di casa, con la percezione dolorosa di esserne ormai definitivamente fuori: non più da figlio, ma almeno da servo, pur di respirare quell’aria e avere di che vivere decentemente. Possiamo chiederci se sia pentito, dato che ciò che lo fa rientrare in sé è la fame di cibo. Non sappiamo neppure se la consapevolezza di aver perso l’identità di figlio e di non poterla recuperare per qualche merito proprio sia sincera oppure semplicemente un tentativo di commuovere il padre, pur di ottenere cibo e alloggio.
Il padre, da parte sua, lo ha già perdonato prima del suo ritorno, lo sta aspettando e quando arriva, sporco e puzzolente, lo abbraccia, lo bacia, prima ancora che lui parli, e non gli lascia finire una frase, che alle sue orecchie sarebbe un'altra idiozia. Infatti è sempre figlio per il padre, che non vuole neanche sentire parlare di servitù: la festa per il ritorno è la sua risposta. Dio Padre è così, possiamo solo accettarlo, senza discutere. È su questo che i farisei sono chiamati a cambiare idea: il padre non verifica se il figlio è pentito, lo accoglie, lo perdona e fa festa.
Finora per lui è stato abbastanza facile. Lo aspetta la parte più difficile: convincere l’altro figlio che fare festa per il ritorno del fratello è, non un di più o una pazzia senile, ma ‘giusto’. Qui non si tratta di giustizia ‘legale’ ma di quella che fiorisce sull’albero fecondo dell’amore ‘pazzesco’ di Dio Padre e che i legulèi (sono i farisei di tutti i tempi e di tutti i luoghi) non solo non capiscono e non accettano, ma neanche riescono a vedere o immaginare. Sono figli, ma hanno vissuto da servi, hanno un padre, ma lo vedono come padrone. Ci dà da pensare il fatto che questo padre esce (come il pastore della prima parabola) e 'supplica' figlio che non ha capito niente (il Padre lo fa anche con noi?). È inutile chiedersi come finisce la parabola, perché continua nella vita di ogni cristiano e la risposta tocca a ciascuno di noi: se figli prodighi, possiamo rispondere che finalmente restiamo con il padre, oppure che dopo un po' abbiamo ripreso i nostri vagabondaggi; se fratelli maggiori, diciamo se accettiamo di entrare alla festa, per condividere sinceramente la gioia del padre, oppure se siamo rimasti fuori, per continuare a giudicare i fratelli e ad essere arrabbiati perché il padre è troppo misericordioso.
SPUNTI PER L'ATTUALIZZAZIONE E LA PREGHIERA
- Il Padre. Ha una logica capovolta: il figlio giovane lo tratta da morto e lui lo lascia libero, lo accontenta e poi lo aspetta, gli restituisce la dignità di figlio e fa festa; il figlio maggiore lo tratta da padrone e rifiuta il fratello, ma lui esce a supplicarlo (il Padre può mai supplicare un uomo? Gesù dice di sì): è un Dio incomprensibile. Ma noi non vorremmo essere amati così?
- Il figlio più giovane. Comportamento inqualificabile, ma tanto diffuso. Non ha mai capito cosa voglia dire essere figlio, ma neanche essere padre (e non può!). Riconosce di non aver più diritto alla figliolanza, ma è un'ulteriore incomprensione dell'amore di suo padre. Anche noi tante volte non l'abbiamo capito.
- Il figlio maggiore. Mai stato figlio, solo servo che aspetta la morte del 'padrone'; mai stato fratello, solo coinquilino rancoroso. Non vuole fare festa e non sappiamo se la supplica del padre gli ha cambiato il cuore. Abbiamo bisogno di sentirci figli amati e riconoscenti per poter accogliere tutti come fratelli.
- Noi. Questa settimana il Padre ci chiama: a convertirci per tornare da lui come figli; a fare festa con lui per tutti i fratelli che tornano a casa; a somigliare a lui verso tutti i fratelli che ci hanno fatto qualche torto. Sarà una settimana molto impegnata.
PROPOSTA DI IMPEGNO
Controlliamo se oggi siamo il figlio giovane o il maggiore e lasciamoci convertire da questa parabola.